Il dolore allo stato puro

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La marcia del silenzio ha registrato una notevole partecipazione ma anche una realtà autentica

Spira forte il vento su Siderno quando sono passate da poco le 21.00 di mercoledì 24 maggio.
Piazza Portosalvo è rannicchiata su sé stessa, quasi intimorita da quanto accadrà di lì a poco, ovvero
sia la “Marcia del Silenzio”. Un breve momento di sosta sul palco dove si prova ad introdurre l'iniziativa,
con poche parole ed una prevedibile ondata di emozione.
Si ricorda Gianluca Congiusta ad un anno dal barbaro omicidio che lo ha strappato alla Vita ed al nostro affetto. Momenti di grande commozione che si tagliano a fette nell'aria, che sa sempre di più di qualcosa di unico, che attimo dopo attimo prende forma e soprattutto sostanza.

Sale sul palco una signora che tiene con ambedue le mani un'ampia cartella, aperta, recante la foto di un giovane ragazzo ed una scritta. È la madre di Massimiliano Carbone, il giovane di Locri brutalmente ucciso dalla criminalità organizzata quasi due anni fa; come un fulmine a ciel sereno, vibrano decise le sue parole nella mente e nel cuore dei presenti: “Grazie, grazie a tutti perché da oggi non mi sento più sola”.
C'è un timido battimani alle parole della signora Carbone ma ci si rende conto della nuda e cruda realtà, di un dolore allo stato puro all'interno del quale s'incastona la piazza, che va via via riempiendosi.
Il vento non accenna a placarsi, i suoi refoli rendono i capelli scarmigliati ed accentuano lo stato emotivo in continua evoluzione: come si fa a rimanere inermi innanzi ad un evento di simil portata?
Ad un tratto irrompono fragorose e nitide le note del silenzio. Fuoriesce limpido e fermo il suono da quella
tromba che arriva lontano, giù giù fino alle stanze della memoria, invadendole in modo discreto. E' un continuo via vai di scene che si affastellano incalzanti e si rivedono in istantanea i 32 volti dei morti ammazzati nella Locride. Ancora in attesa di giudizio.
Si parte con il corteo, aperto dall'ormai famoso “striscione bianco” dei ragazzi di Locri, sostenuto all'altrettanto famoso ed incisivo “E adesso ammazzateci tutti”. Davanti a tutti la famiglia di Gianluca, il
papà,le sorelle e la madre. La signora Donatella che si ritrova accanto alla mamma di Massimiliano, il dolore nel dolore, il dolore allo stato puro. Vero, autentico, dignitoso, perché anche il dolore ha la propria dignità. Dopo un centinaio di passi, in maniera defilata ed accompagnata da due rappresentanti delle Forze dell'Ordine, giunge lateralmente Maria Grazia Laganà, la vedova del Vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria, Francesco Fortugno.
Ha il passo svelto, e dopo pochi minuti guadagna la testa del corteo.
Si compone una triade assolutamente singolare, che costituisce l'apoteosi del dolore, probabilmente il massimo che si sia mai raggiunto nella Locride, quantomeno prescindendo dalla presenza attiva e continua che si sta attualizzando in questi mesi da parte di chi ha visto affondare le lame affilate della violenza. E vuole dire basta, una volta per sempre!
Cresce a vista d'occhio la partecipazione della gente comune, fra i cui volti si notano anche quelli di personalità delle istituzioni, dei candidati al Comune e alla Provincia che hanno aderito alla proposta di estendere il silenzio all'intero arco della giornata: applausi! Frattanto, si odono soltanto i passi sull'asfalto e il movimento scomposto dei palloncini bianchi, distribuiti all'inizio della serata, con su la scritta: “Ciao Gianluca”. Dopo oltre un'ora di composto camminare si arriva sul punto della vergogna, dell'offesa, del buio, illuminato in quell'istante da un olivo, alberello di pace, dalle gerbere gialle
che gli vengono riposte tutte intorno, e da quelle tre donne che, nel frattempo, son diventate quattro.
C'è la figlia di Antonino Scopelliti, il magistrato ucciso nel 1991 a Campo Calabro. Ed è il tripudio del dolore, per quei fiumi di sangue innocente, copiosamente versati sulle nostre strade. Dal quale far doverosamente rinasce la speranza di una nuova primavera della Locride. Perché il sacrificio, non richiesto, dei nostri figli non sia reso vano.

Articolo tratto da "La Riviera"