OMICIDIO CONGIUSTA-Costa e Curato, pentiti a confronto

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Il sostituto procuratore generale Domenico Galletta ha chiesto ed ottenuto il faccia a faccia tra i collaboratori di giustizia.

 Il vicequestore Giordano: ” Nessun riscontro per la pista sentimentale e per quella di usura”

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Gianluca Congiusta

Simona Musco

Giuseppe Costa e Vincenzo Curato, due pentiti a confronto. È quanto ha deciso ieri la Corte d’Appello, presieduta da Roberto Lucisano, nel corso del processo bis di secondo grado per la morte di Gianluca Congiusta, che vede alla sbarra il boss Tommaso Costa.

Un confronto fissato per il prossimo 13 aprile, chiesto e ottenuto dal sostituto procuratore generale Domenico Galletta, che ha anche chiesto di sentire Michele Armigero, l’ex genero di Giuseppe Costa, che ha condiviso con lui un periodo di detenzione. Un confronto per stabilire l’attendibilità dei pentiti, ognuno dei quali getta ombre sulla credibilità dell’altro. Costa ha tentato di scagionare il fratello e si sarebbe pentito per togliersi qualche sassolino dalla scarpa, aveva riferito qualche tempo fa Curato in video collegamento con Reggio Calabria da località protetta. Ieri Galletta ha anche chiesto l’acquisizione di alcune intercettazioni. La prima riguarda un dialogo captato all’interno della lavanderia “Ape Green” di Siderno, quando Giuseppe Commisso, alias “u mastro”, boss della consorteria avversa a quella dei Costa, riferisce a Vincenzo Commisso che Tommaso Costa avrebbe fatto più danni dopo la scarcerazione che all’epoca della faida con i Commisso («Io ce l’ho più per dopo che per prima…»). La seconda, invece, riguarda i dialoghi captati nel carcere di Viterbo tra Tommaso Costa, i figli e il nipote. Ma ieri è stata anche la giornata della deposizione del vicequestore Francesco Giordano, all’epoca dei fatti vice dirigente del commissariato di Siderno, che ha ricostruito le indagini avviate subito dopo la morte del giovane, ucciso a maggio del 2005. Una lunga ricostruzione, che ha portato a due punti fermi per Giordano: l’esclusione di qualsiasi riscontro all’ipotesi del possibile giro di usura che vedeva coinvolto direttamente Congiusta e il movente sentimentale. «Abbiamo fatto accertamenti sugli assegni trovati in possesso a Congiusta, ascoltando tutti gli intestatari per capire a che titolo fossero stati emessi. Si trattava di assegni dati a garanzia per la dilazione dei pagamenti per l’acquisto di prodotti di telefonia e ricariche, alcuni dei quali emessi da altri commercianti – ha dichiarato -. Nulla faceva ricondurre ad attività di usura e riciclaggio, vista anche la bassa entità delle somme. Tra questi assegni ce n’era anche uno da 400 euro dietro al quale era stato segnato il nome di Giorgio Ierinò, noto esponente della malavita organizzata. Se ci fosse stata un’attività occulta dietro quegli assegni probabilmente si sarebbe limitato ad appuntare delle sigle». Un’indagine a 360 gradi che ha anche portato sulla pista sentimentale, data la relazione di Congiusta con una donna sposata, pista che, però, non ha trovato nessun riscontro. «L’omicidio di Congiusta era un fatto apparentemente estraneo al contesto mafioso – ha poi sottolineato Giordano -. Tutto riconduceva alla ripresa delle attività criminali di Costa, come emerso anche dalla mole di colloqui in carcere e dalle lettere. Aveva manifestato l’intendimento di riorganizzare le fila della sua cosca». Si arriva dunque alla lettera estorsiva ai danni di Antonio Scarfò, all’epoca suocero di Congiusta, lettera che poi arriva nelle mani del giovane tramite la moglie di Scarfò, Girolama Raso, che gli chiede di interessarsi della questione affinché le estorsioni finiscano. «Questa lettera finisce nelle mani di Salvatore Salerno, un soggetto che fino a poco tempo prima era dalla parte dei Commisso ma che aveva velleità di comando e di costituire una propria cosca, ovvero quella degli scissionisti, motivo per cui era sceso a patti con Tommaso Costa. In una lettera – ha aggiunto Giordano – riferiva a Costa che la richiesta estorsiva era nelle sue mani, offrendo un accordo». Costa, dopo aver fatto spedire alla moglie quella lettera a Scarfò, nega anche davanti ai figli di esserne l’autore, ma le offerte di Salerno lo convincono di poter avere dalla sua un soggetto in grado di garantirgli una spartizione del territorio. E Costa sa che la lettera è in mano a Gianluca, così come riferitogli dalla sorella. Il boss parla del problema anche in una lettera al suo braccio destro, Giuseppe Curciarello, al quale scrive che «la volpe va eliminata perché ha fatto troppi danni». Così l’omicidio ha un duplice movente, spiega Giordano: «da un lato eliminare l’unico testimone, dall’altro dare un segnale di ritorno per riprendersi il controllo del territorio». Costa esce dal carcere grazie all’indulto poco prima dell’omicidio, ovvero a marzo, dandosi subito alla latitanza. «Avviammo subito le attività di ricerca – ha riferito Giordano -, anche tramite perquisizioni domiciliari. Una volta lo mancammo per pochi minuti».

fonte: il garantista