Da Morosini una mezza assoluzione di Saverio Puccio

Print Friendly, PDF & Email

Da Morosini una mezza assoluzione

Il Vescovo Fiorini Morosini

di Saverio Puccio
Cè una ritualità nota agli inquirenti che irrompono nelle case e nei covidegli ‘ndranghetisti. Spesso veri e propri altarini.Le immagini sacre posizionate ovunque. Spesso persino veri e propri altarini. Perchè,boss o gregario che sia,il mafioso esprime la sua “fede religiosa con grande enfasi,magari con un crocefisso d’oro al collo e messo bene in vista con la camicia sbottonata.

A loro modo sono molto religiosi. Poco importa, secondo questa idea di cattolicesimo, se poco prima di baciare il santo hanno ammazzato qualcuno. Anzi, tornando a casa dopo l’ennesimo delitto, ringraziano le divinità cristiane se tutto è andato per il verso giusto. Non sono fantasie, ma risultati investigativi e dichiarazioni riscontrate di collaboratori di giustizia.

In questo contesto, è difficile comprendere del tutto le parole di monsignore Fiorini Morosini, pronunciate, tra l’altro, in un ambiente assolutamente complesso, come quello del santuario di Polsi. Le ritualità della ’ndrangheta si incrociano troppe volte con quelle pseudo religiose, per questo occorre essere più radicali. Ho provato a capire il significato più intimo del messaggio di monsignore Morosini. Lui indica la via del perdono secondo il percorso cristiano. Un tema profondo e fondamentale. Ma quelle parole rischiano di avere un altro significato. D’altronde, c’è da chiedersi perché hanno provocato, proprio lì, l’applauso della folla? Tutti i presenti erano pronti a perdonare? Chiunque e comunque? Non si vuole criminalizzare una realtà, ma è ancora una volta un fatto concreto quello che vuole il Santuario di Polsi come luogo di summit mafiosi e di credenze poco chiare.

Quella disponibilità al perdono, forse giusta dal punto di vista cristiano, sottolineata dal vescovo, rischia di essere presa come qualcosa di diverso. E’ già una mezza assoluzione. O almeno così può essere intesa, rispetto alla mentalità ottusa e retrograda del mafioso. A Polsi, dopo avere radunato migliaia di giovani, mi sarei aspettato frasi più forti. Messaggi netti. Chiusure totali per quei mafiosi che tengono la pistola in cintola e portano a spalla la statua dei santi in processione.
Come altre volte la Chiesa ha saputo fare in passato. Perché, su questi temi, occorre essere sempre attenti, sempre vigili e sempre chiari, senza  asciare mai spazio alle interpretazioni, anche le più assurde.

Non credo esista in Calabria “certa stampa” che rincorre i vescovi per avere parole di scomunica nei confronti degli ’ndranghetisti. C’è, piuttosto, una società civile che chiede proprio chiarezza. Che non vuole una zona grigia, ma che vede bianco o nero rispetto alla criminalità organizzata. Perché un qualunque giornalista dovrebbe inseguire il vescovo di turno spronandolo a prendere una posizione contro le cosche? Che ruolo e che interesse avrebbe, se non quello di voler capire se esistono tutte le condizioni per estirpare la mala pianta?

Ed allora, appare più concreto rispetto a questi temi il messaggio di un altro presule calabrese. Monsignore Salvatore Nunnari, quarantotto ore dopo, ha proposto una lettura che appare interpretare diversamente le amarezze di questa terra. Ha sbattuto in faccia ai mafiosi il loro «rapporto falso con una religiosità popolare deviata che nulla ha a che vedere con il Vangelo di Cristo e l’insegnamento della Chiesa». Lo ha fatto accendendo i riflettori su quel filo discutibile che lega mafia e religione. E poi ha sottolineato, ringraziandoli, l’impegno di magistratura e forze dell’ordine, offrendo, anche in questo caso, la giusta immagine della retta via. Nella sua riflessione pastorale, con l’appello rivolto ai mafiosi, monsignore Nunnari apre le porte alla conversione e al perdono, ma cita don Pino Puglisi e ammonisce ricordando le lacrime i genitori e sposi davanti alle bare, fino a dire che tutto questo ha reso «arduo considerarvi ancora capaci di accogliere l’appello» alla conversione. C’è quella cristianità profonda, ma c’è questo schiaffo forte all’arroganza mafiosa.
Lontani da spinte demagogiche, alla Chiesa, così come a tutte le altre istituzioni, i calabresi onesti chiedono certezze, impegni concreti, attività limpide. Il rischio, altrimenti, è di foraggiare quel turbinio di parole che la politica conosce bene. Comunicati rituali in cui, dopo l’arresto dell’amico, si esprime fiducia nella magistratura e, allo stesso tempo, nei confronti di colui il quale avrebbe commesso il delitto. Tutte licenze poetiche che, ancor di più in Calabria, non possono purtroppo esistere.
Saverio Puccio