Diario dal campo di Libera-Don Milani 2° Giorno

20.7.11 GIORNO 2
Oggi siamo andati a Monasterace, lì il Sindaco Maria Lanzetta ha subito un attentato da parte della ‘ndrangheta nella notte tra il 25 ed il 26 Giugno scorso.
Hanno dato fuoco alla sua farmacia durante la notte, mentre lei e la sua famiglia, ha due bambine, dormivano al piano di sopra. Non un atto dimostrativo, ma un tentativo di eliminarla… il fuoco è arrivato a pochissimi metri dalle bombole del gas e dell’ossigeno.
Quando ci ha visto arrivare in tanti si è commossa, è stato difficile resistere alla tentazione di abbracciarla.
Appena arrivati la sentiamo che racconta che questa mattina sulla sua pagina facebook qualcuno le ha scritto che dovrebbe chiedersi come mai le hanno dato fuoco alla farmacia, cosa aveva fatto per meritarselo.
E lei se lo chiede, quando le facciamo noi questa domanda ci dice che non lo sa, non se lo spiega… in fondo lei sta facendo quello che dovrebbe essere la normalità, sta amministrando onestamente il suo comune, ma in terra di ‘ndrangheta questo vuol dire scardinare il sistema, vuol dire necessariamente opporsi alla cultura della cattiva amministrazione, del bene proprio posto davanti a quello comune, della mafia.
Aperta la serranda della farmacia sentiamo subito un forte odore di bruciato e vediamo le pareti bruciate dal fuoco, ci sono tutti i farmaci distrutti in degli scatoloni per i rifiuti speciali, ma ne rimangono tanti da catalogare, bisognerà togliere il controsoffitto perché potrebbe cadere e andrà tutto risistemato.
La farmacia è l’unica fonte di sostentamento per la famiglia del Sindaco.
Noi per quanto possiamo abbiamo voluto essere vicini al Sindaco Lanzetta, con gesti concreti anche se piccoli. Abbiamo aiutato a catalogare e sistemare i farmaci ancora vendibili, abbiamo sistemato il giardino, tolto i detriti ed iniziato a dipingere una parete. Non va lasciata sola questa donna.
Mi ha colpito il suo sorriso dolce, e lo sguardo buono che ha, il calore e l’affetto con cui parla alle persone e con cui ci ha accolto.
Mentre sistemiamo il giardino sento che in un intervista dice che vedendo tanti suoi concittadini e noi ragazzi lavorare al suo fianco ha ritrovato la speranza in un futuro migliore.
Ci racconta che le telecamere di sorveglianza hanno ripreso gli ‘ndranghetisti che incappucciati sono scesi dalla scaletta che collega il cortile alla farmacia, e da li hanno rotto il vetro e appiccato il fuoco. Hanno avuto vita facile. Ce lo racconta con un po’ di amarezza, dice che la scala lei la aveva messa perché ha piantato le rose lungo la ferrovia…
Ci auguriamo insieme che a questa cosca venga presto confiscato un terreno, sul quale pianteremo tantissime rose.
Abbiamo lavorato tutto il mattino, insieme a Lei, sono venute a visitarci alcune persone del paese, un giovane assessore, tutti ci hanno ringraziato per essere li, qualcuno ci ha portato anche dei meloni e delle angurie buonissime per rinfrescarci. Sono stati in farmacia anche i carabinieri. Ho avuto la sensazione che si sentissero tutti meno soli.
Come si diceva ieri col Sindaco di Gioiosa, nessuno deve rimanere solo nella lotta contro la Mafia.
Durante la mattinata di lavoro abbiamo parlato tanto con lei, con i referenti del campo, con Mario Congiusta … Piano piano cerchiamo di farci un idea di cosa voglia dire vivere qui, di quale sia il reale potere della mafia, ci scambiamo le nostre opinioni, ci raccontiamo aneddoti. Ridiamo insieme anche, stiamo facendo una cosa che ci rende orgogliosi. Dopo due giorni di lavoro insieme ci sentiamo come una famiglia.
A pranzo andiamo con il Sindaco Lanzetta in un locale sul lungomare di Monasterace, subito sotto la sua farmacia.
Il mare qui ha dei riflessi incredibili.
Parliamo ancora con il Sindaco Lanzetta, le facciamo domande per capire come funzionano le cose nel suo comune e in terra di Calabria più in generale.
Ci racconta che quello che si è imposta di fare è stato lavorare duramente fin da subito, presentare Monasterace come un Paese normale, denunciare che non ci sono i fondi per poterlo amministrare bene e far partecipare il comune a tutti i bandi, tutti. Ha cercato di coinvolgere persone esterne alla macchina comunale per cercare di farla funzionare…
Ci dice però che gli ingegneri chiamati a dirigere l’ufficio tecnico hanno resistito sempre massimo 4 mesi, prima di lasciare Monasterace ed il loro lavoro.
Ci siamo chiesti se questo potesse essere conseguenza di minacce ed intimidazioni mafiose, la Lanzetta ci spiega che è molto più sottile il problema. Ci dice che i consulenti esterni se ne vanno non cacciati dalla mafia, ma per l’opposizione di chi lavora con loro nell’ufficio tecnico, a causa del loro trovarsi soli contro tutti, senza risposte. La Lanzetta dice di essere intervenuta già molte volte (5 ci dice) per chiamare le persone a svolgere il loro lavoro correttamente ed a supportare il dirigente, anche se esterno.
Ci dice che fin’ ora è stato inutile, e che tra poco arriverà un nuovo ingegnere… se anche questa volta lo costringeranno ad andarsene allora probabilmente si dimetterà anche lei, non per paura ci dice, ma perché viene da chiedersi che senso abbia pagare un prezzo alto come quello del rischio per la propria vita e per quella dei propri familiari, se non si riesce ad abbattere quel muro di gomma che è la “zona grigia” di cui parlavamo anche ieri mattina con Zavaglia.
La mafia sono pochi uomini hanno un nome, una faccia, li puoi combattere… ma l’assoggettamento, la cultura dell’omertà, del “lo fanno tutti” del “si può fare tutto”, quella è molto più difficile da fronteggiare… ed è molto più diffusa.
Il Sindaco Lanzetta ci dice anche che nei nostri territorio dobbiamo opporci a questo modo di pensare finchè siamo ancora in tempo per farlo. Ci prega di “salvarci”.
Abbiamo parlato della Stazione Unica Appaltante, che è un ente gestito dalla Provincia e dalla Prefettura che dovrebbe garantire la trasparenza degli appalti. Spesso nemmeno questo riesce ad essere una garanzia.
La Locride vive in uno stato di continua emergenza, sotto tutti i punti di vista, ci vogliono misure straordinarie per tutto… per la gestione dei rifiuti, per gli appalti, per il sociale… qui però l’emergenza è diventata “normalità”.
Ci racconta che molte persone le hanno chiesto, per esempio, di aprire un chioschetto di gadget al museo archeologico. Il Sindaco ha risposto che non può metterlo li il Comune , ma che sarebbe stata felicissima di valutare ed approvare dei progetti per costruirlo. D’altra parte ci spiega, sarebbe un progetto sicuramente redditizio dal momento che è il Comune stesso che organizza le comitive per le visite al museo archeologico, che porta a Monasterace le scolaresche… Nessuno ha mai fatto domanda per avviare questa attività, nessuno ha mai presentato un progetto. Perché? Non se lo spiega.
Probabilmente ci si è abituati a vivere dei proventi dell’emergenza, non c’è l’idea di costruire un progetto e lavorare per raggiungere dei risultati..
Dopo pranzo siamo andati a visitare il museo archeologico, Il Sindaco ci ha mostrato orgogliosa ogni pezzo del museo, ci ha raccontato la storia di Monasterace, dei ritrovamenti, degli scavi archeologici… traspariva in ogni parola il suo amore per questa terra.
Tornati a casa, il Don Milani ormai è proprio casa nostra, ci siamo seduti in cerchio ed abbiamo cercato di riflettere sui temi che abbiamo affrontato in questi due giorni.
Siamo partiti riflettendo sui dati Istat sulla povertà in Italia, in particolare sull’altissimo numero di minori che vivono in condizioni di povertà… siamo un Paese che non ha pari in questo triste primato.
Eppure in una condizione di povertà e di bisogno si tagliano i fondi dedicati al sociale.
Ognuno di noi ha raccontato le sue impressioni e le realtà del proprio territorio.
Abbiamo riflettuto sulla questione del “problema economico” del Sud Italia. Nella pianificazione 2000-2006 ed ora in quella 2007-2013 le regioni del sud Italia sono inserite nella fascia che deve raggiungere l’obbiettivo 1, regioni quindi che sono arretrate rispetto al resto del Paese a cui vengono dati fondi maggiori per permettergli di raggiungere la media nazionale.
I fondi quindi ci sono. Ma non arrivano, o arrivano solo in parte a finanziare il bene comune.
Che il problema economico del sud (“non ci sono i fondi” , “ci hanno lasciati soli”) non sia costruito ad arte per coprire l’inefficienza, la corruzione e il pessimo utilizzo delle risorse pubbliche?
Abbiamo anche riflettuto sul fatto che la corruzione si sta rivelando, in tutto il territorio nazionale, il vero problema di ogni settore. Si inizia a parlare di una nuova tangentopoli. Solo che ora, abbiamo una soglia di ciò che per noi è accettabile molto più alta.
Allora forse alla base di tutto c’è un problema di cultura. Non si è riusciti in Italia a costruire un percorso di riflessione su questi temi, manca la cultura della legalità, della partecipazione attiva alla vita politica, dell’educazione civica. L’assenza di queste cose è sicuramente un buon terreno per la crescita delle mafie.
Ci vorrebbe continuità. Degli interventi, dei soggetti coinvolti, della durata dell’azione antimafia…
MI son trovata a riflettere sul fatto che probabilmente la Mafia in Italia non è una causa, ma una conseguenza.
Ecco allora che emerge l’importanza della missione educativa, che è uno degli strumenti principali con cui si potrebbe combattere il fenomeno delle mafie.
La missione educativa però in questi territori non viene riconosciuta dalle istituzioni, e non fa parte del sentire comune. Diventa una vera e propria missione personale per gli operatori impegnati in questa battaglia.
In questo contesto spicca il Don Milani, che , ci spiegano, è una realtà unica in questo territorio.
E’ per le sue caratteristiche un punto di riferimento per le famiglie, per le scuole, per i servizi sociali del comune, e cerca di sopperire alle mancanze enormi che ci sono a livello di servizi sociali nella Valle del Torbido, che comprende i comuni di Marina di Gioiosa Jonica, Gioiosa Jonica, Martone, San Giovanni di Gerace, Grotteria e Mammola.
L’associazione Don Milani non riceve fondi dal comune o da altri enti, né chiede alle famiglie dei bambini che vengono seguiti qui una retta, si chiede ad ognuno di contribuire per ciò che può, anche se in poche famiglie lo fanno.
I bambini che vengono al Don Milani provengono da famiglie con un forte disagio economico e sociale, molte sono famiglie coinvolte nel fenomeno mafioso, due bambine hanno uno dei genitori in stato di detenzione.
Qui, come alla Scuola etica e libera di educazione allo sport, si costruisce un percorso educativo con i bambini ed i ragazzi, partendo da attività di affiancamento allo studio, e laboratori artistici e culturali per aiutarli a fare propria la cultura della legalità, il senso civico, e per aiutarli a crescere in momenti ed in contesti per loro difficili.
Gli operatori lavorano ovviamente anche sulle famiglie, organizzando con loro incontri con la psicologa e l’assistente sociale e chiedendogli di partecipare alle attività del centro.
Molte madri non riescono poi di fatto ad essere presente a causa della drammatica situazione di poverà in cui si trovano, Elga ci dice che per molti dei bambini che frequentano il centro la merenda è l’unico pasto garantito… a Milano è quasi inimmaginabile una situazione simile.
Ci raccontano di progetti bellissimi di gemellaggio con scuole del Lazio, uno di questi è durato due anni, i ragazzi hanno lavorato insieme ad uno spettacolo teatrale, in questi due anni si sono parlati via skype, si sono conosciuti, scambiati informazioni sulle realtà in cui vivono, e si sono poi incontrati.. questo ha permesso ai ragazzi del Don Milani di conoscere una realtà diversa da quella in cui vivono, e ai ragazzi del Lazio di scoprire una Calabria diversa da quella che raccontano i film, fatta di brave persone e non di pistole e mafia.
Altri laboratori sono stati fatti sul tema dell’integrazione, con i ragazzi stranieri presenti sul territorio. Attraverso giochi sul dialetto calabrese e sulla lingua italiana, o attraverso laboratori di danze tradizionali calabresi, o riproducendo ricette tipiche dei paesi di provenienza dei ragazzi stranieri.
Ci troviamo a riflettere sull’apparente contraddizione che deriva dal fatto che il centro Don Milani, apertamente schierato contro la Mafia ed impegnato nella cultura dell’antimafia, sia frequentato dai figli di mafiosi.
Francesco Rigitano ci spiega che proprio per le caratteristiche del centro e per lo spirito con cui questo viene portato avanti invece i figli dei mafiosi vengono accolti volentieri, un po’ perché questo è l’unico modo di dargli una possibilità e di salvarli dalla strada e da ciò che questo comporta e perché non è mai giusto che i figli paghino per le colpe dei genitori, e un po’ perché qui si vuole vedere in chi abbiamo davanti l’altro, il fratello.
Ci spiega che sono le famiglie stesse, le madri in particolare, che fanno di tutto perché i figli vengano seguiti qui. Ci racconta anche che è capitato che ad esempio un uomo di mafia si rivolgesse al centro per chiedere aiuto per problemi di tossicodipendenza. Qui hanno trovato la porta aperta, in quanto esseri umani. Poi ovviamente le azioni criminali vengono condannate e si ribadisce l’importanza che il debito con la Giustizia venga pagato.
Sorprende molto la forza d’animo che riescono ad avere le persone che lavorano qui, il loro impegno costante ogni giorno, il loro affrontare difficoltà enormi, che vanno dall’assenza dei fondi necessari, agli “avvertimenti” di chi li vorrebbe vedere rassegnati, al fatto di vivere in un territorio come questo in cui spesso vengono ostacolati.
Sorprende anche il rapporto indissolubile che si crea con i ragazzi che passano dal centro. Che anche da adulti passano a salutare, a dare una mano, collaborano ai laboratori, vengono a farsi una partita a calcetto e chiedono aiuto quando si trovano ad averne bisogno.
Inizio ad avere la certezza che sarà difficile anche per noi lasciare il Don Milani…