“Museo delle migrazioni di Lampedusa”

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“Museo delle migrazioni di Lampedusa”

Sulle opere con gli oggetti dei migranti e il museo delle migrazioni di Lampedusa.

La prima volta che andai al cimitero delle barche, stavo cercando, come spesso mi capitava fare , qualcosa che mi stupisse , nella spazzatura. Ho sempre avuto una curiosità nei confronti degli oggetti, ricordo i saloni dei miei nonni
pieni di cose nelle credenze, tutti avevano una storia, si trascinavano dietro un ricordo, molti non erano belli, ma esercitavano su di me un fascino particolare, ed erano li da sempre, ogni tanto se ne aggiungeva qualcuno, altri addirittura erano stati del padre o di qualche zio dei miei nonni, tutti erano esposti con molta cura e a me sembravano tutte cose di molto valore.

Anche a casa mia molti oggetti avevano una storia e venivano trattati con una certa cura, ricordo bene due piccoli cani d’argento che mia madre mi raccontò averli da quando avevano aperto il primo negozio di oro e argenti a Lampedusa, ma la cosa durò poco, in famiglia non abbiamo il senso degli affari, ma ogni volta che vedevo quei piccoli cani tornavo indietro in un tempo che io non avevo mai vissuto, e vedevo mia madre e mio padre indaffarati a sistemare anelli e collanine , vestiti come avevo visto in foto , giovani, e con una malinconia che negli occhi di mia madre diventava una canzone scheletrica fatta di pochi accordi e una melodia cantata da una voce rauca e di una bellezza sovraumana.
Poi più io crescevo e più molti oggetti venivano cambiati di posto o conservati in qualche scatolone di cartone , alcuni come i cani d’argento acquistavano per me sempre più valore, altri venivano buttati. Con maggiore velocità vedevo oggetti comparire in casa per scomparire molto velocemente, non so se ero cresciuto io e il tempo e lo spazio erano mutati per sempre ,se davvero era scomparsa quella magia attorno le cose o come dopo poco avrei letto :gli oggetti cominciavano ad essere progettati per diventare prima possibile rifiuti, merce da sostituire con maggior velocità possibile. Ricordo mio zio Fortunato, che mi portava spesso alla discarica dove lui andava a raccogliere cose, sistemarle, modificarle e poi Pasquale un grande amico che dalla spazzatura anche lui tira fuori di tutto e addirittura si è costruito una casa con ciò che gli altri buttano, che per me è un opera d’arte e un segno di una civiltà che deve venire.
Ricordo quando ancora l’immigrazione non aveva cambiato il volto di Lampedusa , che mi aggiravo nella discarica dell’isola cercando come un tesoro, tutte quelle forme, quei materiali, quelle storie che si intrecciavano con la mia

fantasia e mi riportavano alla mia infanzia, a quella caccia all’invisibile che mi portavo dietro da sempre, spesso trovavo cose o semplicemente giocavo dentro qualche macchina sfasciata guidando in strade desertiche o addirittura volando tra lavatrici e mattonelle colorate.

Ma quando per la prima volta trovai tra cumuli di legni tritati un pacchetto con lettere e foto e testi sacri , nessuna sensazione che avevo provato nei miei viaggi tra le cose buttate , fu paragonabile. Era come avere trovato quello che per molto avevo cercato, avevo trovato la testimonianza di una umanità avvolta nel mistero della vita e forse il mistero stesso.

Fu come essere partecipe della storia dell’umanità tutta, fu come avere scoperto le piramidi d’Egitto , come incamminarsi per una strada che alla fine ha una promessa di luce e liberazione ma che mentre la percorri è intrisa di dolore e ingiustizia. Allora cominciai a tornare al cimitero delle barche con molta frequenza, e poi con tutti i miei amici di Askavusa l’associazione di cui faccio parte, sempre trovavo qualcosa che avesse valore , dai corani alle

bibbie , alle foto , documenti, utensili da cucina, pacchi di cous cous, bustine di the, scarpe , vestiti e sopratutto lettere. Per me fu naturale usare i legni di barche, i testi sacri e altri oggetti per realizzare delle opere, volevo restituire al mondo la voce soffocata degli ultimi, ma volevo restituirla con forza, cercando la bellezza, cercando la forma , cercando di consegnare ai figli di chi da Lampedusa è passato un segno di rispetto, di vicinanza, di amore per l’umanità, un segno di memoria che si rischia di perdere ogni giorno, tant’è che l’anno scorso qualcuno diede fuoco al cimitero delle barche, ancora oggi aspettiamo di sapere chi è stato.

Decidemmo con altre associazioni, tra cui Legambiente e LIMEN di costituire un museo sulle migrazioni di Lampedusa, che potesse parlare anche delle migrazioni degli animali che da questa isola passano proprio come gli uomini, ma con più semplicità, con la libertà che la natura ci ha dato e che noi non sappiamo gestire e favorire.

L’arte è anche un processo di critica e rielaborazione del mondo, rielaborare la materia , significa avere a che fare con energie , proprio come gli oggetti nei vecchi saloni dei nonni, questi legni , queste foto, questi oggetti portano

con se storie incredibili, energie attive che si sprigionano. Spesso mi sono sentito un chimico delle energie, più che un artista, perche trattare queste cose, che erano spazzatura, che erano pronte per essere distrutte per sempre,

ma che in realtà hanno un valore inestimabile e che quando le tocchi scatenano cose nel profondo di chi ha un minimo di sensibilità , e come camminare su un filo ed è facile cadere quando si cammina su un cordone ombelicale che dalla nostra pancia ci riporta alla sacralità delle cose, della vita e della spazzatura, ma è un rischio che l’artista deve correre.

Spesso è in ciò che si percorre la meta  per cui ci affanniamo ad arrivare.

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Giacomo Sferlazzo

Via cala Pisana n 66

Lampedusa (AG) 92010