RAMADULLAH RITROVA LA FAMIGLIA!

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RAMADULLAH RITROVA LA FAMIGLIA!

Silvio Messinetti – Riace (Reggio Calabria)

CALABRIA Il piccolo Ramadullah, la festa rom (da Il Manifesto 24/8)
Ecco il cielo sopra Riace, l’accoglienza è possibile

Era diventato il simbolo della nuova Riace, la new town che il coraggioso sindaco Mimmo Lucano ha costruito negli ultimi 5 anni. Non con cemento e calcestruzzo ma con un processo virtuoso di ripopolamento del borgo fondato sull’accoglienza a profughi, rifugiati e genti di ogni dove. La figura minuta di Ramadullah, chino a pregare, con le braccia conserte, al seggio elettorale nello spoglio delle ultime comunali, è l’istantanea che meglio ha raffigurato il laboratorio Riace.

Da oggi Ramadullah, il piccolo afgano scampato alla guerra, non vive più nella Locride. Si è ricongiunto al padre che lo ha riconosciuto in Norvegia dalla visione de Il volo, il mediometraggio che Wim Wenders ha girato a Riace- ma anche a Badolato e Caulonia – e in cui il bambino è protagonista. Quella di Ramadullah non è la classica favola dal lieto fine. È piuttosto il frutto maturo di una buona politica che include e non esclude, che unisce e non discrimina. Insomma, Riace non è Parigi e Lucano non è Sarkozy. Non fosse altro perchè la crociata antirom del presidente francese a Riace non potrebbe albergare. Qui, infatti, ogni anno a fine settembre, nei pressi del santuario dei santi Cosma e Damiano, patroni del paese, si riuniscono i rom di Calabria e Sicilia. Una festa che da decenni lega i rom ai riacesi che in quei giorni aprono le loro case agli zingari. In nome di un comune destino di emigrazione ci si scambia i prodotti delle due diverse culture: i rom l’artigianato in ferro e in rame, la gente di Riace l’olio, i pomodori e le conserve. Il più grande raduno votivo dei rom e sinti d’Italia si conclude, poi, con un pellegrinaggio al santuario aperto da zigani al ritmo di balli e tarantelle romanì.
Otto giorni al buio dentro a un container con l’acqua razionata e una manciata di biscotti. Ramadullah scappa dall’Afghanistan con uno zio e i cugini nel 2008. Riesce miracolosamente a salvarsi da un attentato che ha distrutto la sua casa di Kabul. Non ha più notizie dei genitori, del padre Amir, ingegnere civile, e della madre Faranoze. Li crede morti, seppelliti in uno dei tanti cimiteri dei senza nome. Dopo aver attraversato Turchia e Grecia sbarca a Crotone insieme a decine di profughi. Viene condotto nel Cpt di Isola Capo Rizzuto e, dopo 4 mesi, si trasferisce a Riace. La famiglia di rifugiati afgani viene ospitata dall’Associazione Città Futura. Intanto a Riace iniziano a riaprire le vecchie botteghe, si sviluppa la microeconomia e il turismo solidale. E i migranti apprendono un mestiere nei laboratori di ceramica, vetro, rame,sartoria artigianale e lavorazione della ginestra. Si scongiura la soppressione della scuola con diciassette bambini immigrati e nove italiani. Ramadullah si fa ben volere dai riacesi. «Frequentava la scuola, aveva imparato in fretta l’italiano e qualche espressione del nostro dialetto – ci racconta Cosimo Curiale di Città Futura – allo zio l’associazione pagava il fitto di un negozietto che aveva aperto con i prodotti tipici arabi». Da qualche tempo lo zio di Ramadullah, però, è partito. Si è trasferito ad Ancona dove lavora ai cantieri navali.
Nel mentre nella Locride sbarca Wenders per girare un corto dal titolo Il volo. Una storia di finzione girata a Badolato,borgo arroccato sul cocuzzolo di una montagna a una dozzina di chilometri da Riace, che racconta le vicende di un bambino che, a causa dello spopolamento, non trova più compagni con cui giocare a pallone. Ma nel paese arriva un gruppo di africani che con i loro figli ripopolano la case, le scuole e anche i campetti di Badolato. Wenders prende consapevolezza che la sceneggiatura ometteva di narrare la storia presente di Riace. Così, con un escamotage narrativo, forza la sceneggiatura in corso d’opera per farvi entrare l’esperienza reale di Riace. Il film si trasforma così in un docufilm. E l’ultima scena ha proprio come sfondo la piazza centrale di Riace:le donne con i neonati attaccati al collo, i bambini, tra cui Ramadullah, Mohammed, Ann, Mustafà, Sabir, che corrono amalgamandosi in un mosaico di facce, di sorrisi e di colori. Un arcobaleno di nazioni in pochi metri quadri: ci sono etiopi, curdi, afgani, serbi, palestinesi, bosniaci, somali, eritrei.
«Sono molto contento per Ramadullah – dichiara al manifesto il sindaco Lucano – quando ci ha salutato era commosso. È stato con noi per due anni. Era speciale, molto maturo per la sua età. Da Crotone, quando ci annunciarono il suo arrivo, ci avevano parlato di un ‘piccolo grande uomo’. E cosi è stato. L’ho portato con me in un liceo di Catanzaro e ha descritto il sangue, le bombe, la guerra in tutta la sua ferocia». Lucano si definisce parte di una sinistra immaginaria che feconda dal basso e fuori dai partiti. Il suo chiodo fisso è l’antirazzismo perché «chi ha paura di un altro uomo per il colore o profumo della pelle non sarà mai un vero uomo. Lo stesso vale per chi respinge o per chi deporta con gli aerei come in Francia». E a proposito dei rom ribadisce: «Noi da decenni accogliamo i popoli nomadi in allegria e partecipazione. Gli stessi santi Cosma e Damiano, nostri patroni e icone dei rom, erano medici arrivati via mare proprio come i curdi che arrivarono qui oltre 10 anni fa e che sin da allora, grazie anche a Dino Frisullo, iniziammo ad ospitare. Ma anche i bronzi sono giunti da noi via mare. Perchè il mare è vita e chi chiede aiuto dal mare va accolto e non respinto a cannonate».