PROCESSO CONGIUSTA SCARFO COMPLICE DELLA LETTERA

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   Gianluca Congiusta

Il boss Tommaso Costa invia un memoriale alla Corte e racconta la sua verità dei fatti

Il memoriale che Costa ha inviato

alla Corte d'Assise di Locri per

dire la sua verità sul

suocero di Congiusta.

Il rapporto con il politico Racco

ed il traffico di droga

Scarfò complice della lettera

 

L’imputato: “Missiva per far luce sui raid all’imprenditore"

 

 

di Pino Lombardo per il Quotidiano

 Proclama la propria innocente Tommaso Costa, “anche se le apparenze,-come lui scrive-, possono sembrare al contrario”,in un memoriale spedito lo scorso 29 ottobre e  giunto alla Corte d’Assise di Locri soltanto il 13 novembre scorso,dopo che il 4 novembre era “pervenuto per errore” alla Corte d’Assise di Cosenza.Il punto centrale del memoriale,spedito prima del giorno fissato per l’audizione,poi saltata e spostata a domani 27 novembre, di Antonio Scarfò, l’imprenditore di Siderno destinatario della fondamentale lettera estorsiva, (“lettera morta” la definiva la moglie dello Scarfò durante la sua testimonianza in aula),è tutto concentrato nella spiegazione il perché dello stratagemma della missiva estorsiva. Costa afferma che “sin da quando sono stato sentito,per rogatoria, dal Gip di Sulmona non ho negato il fatto di aver spedito la lettera di minacce a Scarfò”,e che avrebbe spiegato al Gip “il motivo per cui l’ho fatto supplicando il signor Scarfò a dire la verità, cosa che dubito farà”.Il boss sidernese afferma di sapere  “con certezza” che quando Scarfò subì i danneggiamenti, dal 2001 in poi, “qualcuno si è avvicinato a Scarfò dicendogli che a fare quei danni erano i Costa e che sarebbe intervenuto al fine che i Costa lo lasciavano stare .”. Questa cosa dette  fastidio a Tommaso Costa che voleva “sapere chi in realtà operava in tal senso .”.Nel memoriale afferma che all’inizio ha dubitato di tutti compreso del fratello e del nipote,ma quando “non c’è l’ho fatta più a passare per colui il quale ha chiesto dei soldi ho escogitato di spedirgli la lettera di minacce al solo scopo di far uscire allo scoperto il vero autore .”.Così viene attivato lo stratagemma che non doveva essere noto a nessuno e per ottenere ciò,-scrive-, “dovevo usare l’atteggiamento che ho usato”.Il boss sidernese infatti calcola che “lo Scarfò si sarebbe rivolto a chi gli aveva dato assicurazione che interveniva verso i Costa”,nel qual caso se gli autori fossero stati il fratello o il nipote, o,-come si legge nel memoriale -,  “chi era estraneo ai familiari”,si sarebbero trovati nei guai,mentre per chi aveva garantito che si sarebbe speso presso i Costa il discorso sarebbe stato diverso.Secondo Tommaso Costa il suo stratagemma di far uscire allo scoperto il responsabile delle minacce fatte a Scarfò in parte riesce perché “effettivamente,come speravo,il primo è stato Salerno,(da intendersi in Salvatore Salerno assassinato ad ottobre del 2007),ad uscire allo scoperto.Però non mi bastava,volevo andare fino in fondo e continuare nella mia strategia e così ho convinto Giuseppe Curciarello,senza che lui fosse a conoscenza del mio piano.”.Però,secondo Costa il suo uomo fidato avrebbe “millantato d’aver parlato con Scarfò .”.Nel memoriale viene anche sottolineato che “se lo Scarfò si sentiva sicuro che i Costa non lo toccavano più doveva ringraziare l’interlocutore ed essergli obbligato .”. Tommaso Costa si chiede “perché lo Scarfò o chi per lui non ha denunciato mai d’aver ricevuto una lettera di minacce per conto di Tommaso Costa?. Quando Scarfò ha sempre denunciato tutto?”. Anche a questo interrogativo Costa offre una spiegazione.  “Scarfò,-scrive-, non può denunciare la lettera perché Scarfò è complice di quella lettera,Scarfò sa qual’è lo scopo di quella lettera e non può denunciare chi l’ha aiutato.Da ciò nasce il fatto che io sin dal primo interrogatorio ho incitato lo Scarfò a dire tutta la verità,ma dubito che lo farà .”.Tommaso Costa osserva che  “se la censura della posta invece d’essere applicata a dicembre 2003 fosse del mese di novembre,adesso non saremmo a valutare questo fatto perché l’unica e sola verità sarebbe venuta a galla.”. Adesso, continua Costa-, “solo Scarfò può venire in aula e dire tutta a verità perché lui sa nomi e cognomi di chi gli ha fatto i danneggiamenti,e se lo sa  è perché c’è stata la messa in scena di questa finta estorsione .”. Tommaso Costa dubita fortemente che Antonio Scarfò “risponderà   al PM o agli avvocati dicendo la verità”, “non dirà nemmeno che mi conosce,non dirà nemmeno che è stato lui a dirmi che Curciarello non ha mai parlato con lui.Perché ho questa certezza?. Perché,-si risponde Costa-,se aveva la coscienza pulita non avrebbe aspettato d’essere citato in Tribunale per dire come stanno le cose ma si sarebbe presentato spontaneamente .”.Per questo ha inviato il memoriale prima che  l’imprenditore sidernese venisse sentito in aula.
Locri 25 novembre 2008

Pino lombardo. 

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“Millantavo l’amicizia con Luciano Racco per darmi una certa importanza” 

 Tommaso Costa non conosceva Luciano Racco,candidato nel 2005 alle elezioni europee nelle liste  PSI,ne tanto meno ha fatto campagna elettorale per lui,la tanto dichiarata amicizia era soltanto una “millanteria” per darsi una certa importanza. Ad affermarlo è lo stesso Costa in una “memoria difensiva”, un articolato memoriale in sei fitte cartelle scritte a stampatello che, con la premessa che sarà questo il mezzo che d’ora in avanti utilizzerà per comunicare con la Corte dal momento che non intende più effettuare dichiarazioni spontanee in aula perché “sono sempre strumentalizzate da parte della stampa tutta”, spedito, dalla Casa Circondariale dell’Aquila, il 29 ottobre scorso ed indirizzata al presidente della Corte d’Assise del Tribunale di Locri  dove è in corso il procedimento penale che lo vede accusato anche  di aver organizzato l’assassinio dell’imprenditore sidernese Gianluca Congiusta. Una delle argomentazioni toccate da Costa nel “memoriale” è quella inerente le elezioni europee.Anche per quanto riguarda il settore della “politica” dove,secondo l’accusa, Costa aveva interessi ad “inserirsi”,il boss sidernese afferma che era tutto un bluff organizzato da lui per crearsi una fata di personaggio importante.Infatti senza  tanti giri di parole  Costa,entrando nel merito della questione, afferma di non conoscere Luciano Racco,  anche se “so chi è”. Quindi,quasi a prevenire ipotetiche domande, aggiunge “non mi ha mai chiesto voti né in prima persona,né tramite.Il tutto,-continua a scrivere nel memoriale-,è frutto di millanterie mie solo per atteggiarmi a conoscenze che non avevo,solo per atteggiarmi a personaggio importante .”.Costa non dimentica che dalla sua corrispondenza è emerso un certo suo interessamento a “raccogliere voti” per “l’amico sidernese” e  quasi a prevenire le osservazioni circa quella “campagna elettorale” che avrebbe attivato a favore di Racco,Costa,ammette alcune circostanze. “E’ vero,-si legge nel memoriale-,ho parlato di elezioni e voti,ma l’ho fatto con l’avvocato Donato Catalano,uomo politico in Puglia e mio avvocato .”. Il discorso sulle elezioni europee col proprio legale,-secondo quanto si legge nel suo memoriale-,Costa lo avrebbe fatto “perché avevamo le stesse simpatie politiche e non con Luciano Racco che nemmeno conosco fisicamente e ripeto non ha chiesto mai voti perché il tutto è frutto di discorsi fatti con l’avvocato Donato Catalano che,ripeto,è mio difensore nel processo di Bari “Carlo Magno” come da giusta nomina .”.
Locri 25 novembre 2008

pino lombardo 

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“ Estraneo al traffico con Kaled, mio nipote voleva

la capra bianca

ma non diedi niente”

 

 Tommaso Costa afferma di non c’entrare nulla col trafficato di droga che vedeva coinvolto il trafficante di Nocera Bayan Kaled.Le promesse che aveva fatto sarebbero state solo “millantazioni”. La necessità di effettuare la precisazione Tommaso Costa l’avrebbe avuta a seguito delle deposizioni  effettuate, nel corso delle udienze degli scorsi 1, 10 e 27 ottobre,dal sottufficiale dei carabinieri della compagnia di Soverato,Mazzolini,intorno ai rapporti con Bayan Kaled ed ad un suo improbabile coinvolgimento in un traffico di droga,(cocaina),che il Bayan stava gestendo. Il boss sidernese afferma che il contenuto delle lettere intercorse tra lui e Bayan Kaled e che la pubblica accusa ha definito “malavitoso”,altri non era che un fatto “processuale perchè,-scrive Costa-,avevo un processo assieme al Bayan ed avevamo gli stessi avvocati. L’aiuto che Bayan voleva era solo quello e basta.”.Per evidenziare ciò Tommaso Costa evidenzia che anche a voler dare ragione all’accusa che in quelle lettere  legge la richiesta di droga da parte del Bayan”cosa ho fatto io?,-chiede il boss sidernese-.Mai una volta che gli ho detto che lo fornivo io,che gli avrei dato qualcosa,-si risponde Costa-.”.A qusto Costa aggiunge che lo stesso maresciallo Mazzoleni nel corso delle sue deposizioni ha affermato che “alla richiesta di alloggio presso amici di Roma il Tommaso sembra non voglia interessarsi di proposito.E se io millantavop amicizia ed amicizie?,-domanda Costa-.Se io millantavo di potergli fornire droga?Si può dire a quale scopo Tommaso millantava?.”.Ecco la risposta.”Io ero,-si legge nel memoriale-,da 15 anni in carcere ed avere una persona come il Bayan che mi mandava dei soldi,ad avere una persona che si stava interessando alle vicissitudini processuali mi faceva un gran comodo,può darsi che l’ho abbindolato di proposito per scopi personali visto che mi aiutava.Il perchè dell’aiuto che Bayan doveva darmi è scritto nella sentenza  della Corte d’Assise d’Appello di Bari nel processo “Carlo Magno” dove sono stato condannato da innocente per colpe che altri hanno commesso e sono stati assolti. Questo,-continua Costa-, è un buon motivo per essere aiutato,scontare la condanna al posto d’altri .”.Costa,nello evidenziare che li ha “un nipote che si chiama Peppe ed un fratello grande che si chiama Peppe”, seguendo il ragionamento fatto dalla Pubblica Accusa secondo la quale avrebbe incaricato “Peppe il piccolo a mettersi a disposizione del Bayan”,nel sottolineare che si sarebbe “semplicemente scrollato di dosso il Bayan”.osserva che “ a richiesta non c’è offerta s non la presa in giro,(millantavo).”. Nel trattare un secondo episodio in cui si parla di droga e che vede il nipote Francesco rivolgersi a lui per ottenerla,osserva che “mio nipote Francesco mi scrive che voleva “capra bianca”,ammettendo la tesi dell’accusa che la capra bianca fosse cocaina,cosa rispondo a mio nipote?.Cosa do a mio nipote?Niente di niente come in altri casi,-si risponde Costa-,loro chiedevano ed io non gli davo nulla perché in realtà non avevo nulla da dargli.”
Locri 25 novembre 2008

pino lombardo