E tutto l’anno scuole, associazioni, parrocchie accolgono e ascoltano le storie delle vittime attraverso le parole dei loro cari. «Noi non siamo come loro, tenetelo a mente: noi non siamo come loro», diceva Paolo Borsellino. È proprio vero. La conferma è in vite che non si sono fermate nel giorno del piombo e delle bombe come volevano Provenzano e gli altri boss. «Convertitevi. Lo chiedo in ginocchio, è per il vostro bene. Questa vita che vivete adesso non vi darà piacere, non vi darà gioia, non vi darà felicità», ha scandito papa Francesco il 19 marzo 2014 rivolgendosi ai mafiosi e incontrando proprio i familiari delle vittime.
E ha acceso negli occhi di questi ultimi la commozione e la felicità. Sì, la felicità di chi ha trasformato il dolore in impegno. Come i giovani delle cooperative che a Corleone e nei paesi un tempo ‘regno’ di Provenzano portano i nomi delle vittime – Placido Rizzotto, Pio La Torre… –, creano lavoro e coltivano buoni frutti sui terreni strappati ai mafiosi. Corleone che, grazie all’impegno di sindaci come Pippo Cipriani e Nino Iannazzo, politicamente lontani ma spinti da analoghi valori, sta utilizzando tutti i beni confiscati.
Certo la strada del cambiamento è ancora lunga, come dimostrano recenti arresti e inchieste che toccano anche l’attuale amministrazione comunale. Ma tanto resta. Come l’area commerciale intitolata a Libero Grassi, imprenditore coraggioso anche lui vittima di Provenzano. E resta un cartello stradale, lassù in contrada Montagna dei cavalli. «Via 11 aprile 2006, cattura di B.Provenzano, mafioso». Mafioso e catturato. Tutto qui. Sì, lui ha perso, i mafiosi hanno perso. E le vittime sono i veri vincitori. Ma dopo ogni vittoria bisogna continuare a ricostruire conm buona politica, buona economia, trasparenza e intransigenza per non ricadere nel baratro della violenza mafiosa. La malapianta, non è più infestante come un tempo, ma è sempre in agguato.