Crimine, ecco il verdetto della Cassazione

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Tiene l’impianto generale del procedimento scaturito dall’inchiesta sull’unitarietà della ‘ndrangheta. Undici nuove assoluzioni, diverse riduzioni di pena, una decina di annullamenti e molte conferme

cassazione

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

Undici nuove assoluzioni, diverse riduzioni di pena, tutti senza rinvio, una decina di annullamenti e molte conferme.

Passa il vaglio della Cassazione il processo Crimine, scaturito dall’inchiesta che ha valorizzato le tracce sull’unitarietà della ‘ndrangheta, presenti già nella storia giudiziaria reggina dal processo sul summit di Montalto in poi, formalizzandole in una contestazione specifica.

ASSOLUZIONI ANNULLATE Salvo l’impianto generale del procedimento, molti degli imputati dovranno tornare di fronte ai giudici. Sono stati assolti ma dovranno essere nuovamente giudicati Mario Agostino, Isidoro Callà, Antonino Galea (cl.54), Carmelo Gattuso e Bruno Pisano, mentre dovranno essere rideterminate le pene in base agli annullamenti decisi dalla Suprema Corte per Antonino Gattellari, Carmelo Muià, Bruno Nesci, Raffaele D’Agostino, Remingo Iamonte e Giuseppe Romeo.

NO ALLE RICHIESTE DELLA PROCURA Rigettati i ricorsi della Procura generale, sono tutte confermate le assoluzioni di Giuseppe Aquino, Vincenzo Commisso, Giuseppe Raso e Savino Pesce contro cui la procura generale aveva fatto ricorso. Bocciati come inammissibili anche i ricorsi presentati dall’accusa per Emilio Andrianò (6 anni), Giorgio De Masi (7 anni e 4 mesi), Donato Fratto (assolto), Antonio Galea cl.72 (7 anni e 4 mesi), Bruno Gioffrè (6 anni e 8 mesi), Domenico Iaropoli (assolto), Vincenzo Longo (8 anni), Francesco Meleca (assolto), Vincenzo Tavernese (2 anni).

NUOVE ASSOLUZIONI La Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza della Corte d’appello, assolvendo Salvatore Femia (in precedenza condannato a 5 anni e 4 mesi), Sotirio Santo Larizza (in precedenza condannato a 4 anni e 8 mesi), Claudio Umberto Maisano ( in passato punito con 9 anni), Pasquale Oppedisano (in passato condannato a 8 anni), Bruno Paviglianiti (in passato condannato a 4 anni e 8 mesi), Carmelo Paviglianiti (in passato condannato a 4 anni e 8 mesi), Paolo Paviglianiti (in passato condannato a 4 anni e 8 mesi), Antonino Pesce (in passato condannato a 4 anni e 8 mesi), Giuseppe Prestopino (in passato condannato a 8 anni e 8 mesi), Tonino Schiavo (in passato condannato a 6 anni), Giuseppe Trichilo (in passato condannato a 2 anni e 2 mesi), Kewin Zurzolo (in passato condannato a 4 anni e 8 mesi).

RIDUZIONI DI PENA Si vedono invece sforbiciate le condanne ricevute dopo l’annullamento senza rinvio deciso dalla Cassazione Giovanni Alampi, (da 8 anni a 6 anni e 6 mesi), Rocco Aquino, da 9 anni e 6 mesi a 8 anni e 8 mesi), Giuseppe Commisso (da 14 anni e 8 mesi a 11 anni), Carmelo Costa (da 5 anni e 4 mesi a 4 anni e 4 mesi), Giorgio De Masi (da 7 anni e 4 mesi a 6 anni e 8 mesi), Nicola Gattuso ( da 11 anni e 4 mesi a 9 anni e 4 mesi), Salvatore Napoli (da 6 anni a 4 anni e 8 mesi), Michele Oppedisano ( da 9 anni e 4 mesi a 7 anni, 5 mesi e 14 giorni), Raffaele Oppedisano ( da 6 anni e 8 mesi a 6 anni), Antonio Nicola Papaluca (da 6 anni e 8 mesi a 6 anni), Giuseppe Trapani ( da 8 anni a 6 anni),

TRASMISSIONE ATTI E CONFERME I giudici hanno inoltre disposto la trasmissione degli atti a Torino per difetto di competenza relativamente alla posizione di Giuseppe Marvelli, mentre per Rodolfo Scali torneranno alla Dda di Reggio. Per il resto, sono state invece confermate tutte le altre condanne in passato decise dalla Corte d’appello.

L’INCHIESTA Agli atti rimane dunque la fotografia dinamica del substrato più militare della ‘ndrangheta reggina, collante necessario per tenere insieme un’organizzazione complessa e articolata, capace di sedere nei cda di grandi multinazionali, come di imporre la guardiania su un terreno. Una struttura dinamica e sensibile ai cambiamenti pur di continuare a imporre il proprio dominio e macinare profitti, estremamente duttile e versatile, ma che proprio per questo ha ancora bisogno di un’architettura di regole e prassi che leghi il braccio più operativo e legato al territorio e il gotha, i soldati e gli strateghi. Sebbene dunque i vertici decisionali di quella che oggi è comunemente definita la mafia più potente del mondo possano fare a meno di santini e rituali, è proprio quel sistema di regole a permettere a chi può – per posizione, ruolo e compiti – fare a meno di controllare il magma grande dell’organizzazione stessa. Una dimensione fotografata dal gup Minutoli nelle motivazioni della sentenza di primo grado con rito abbreviato scrive parole estremamente chiare al riguardo: «La ‘ndrangheta, anche quella che importa dal Sudamerica cocaina o che ricicla nei mercati finanziari mondiali ingenti risorse economiche è quella che ha come substrato imprescindibile rituali e cariche, gerarchie e rapporti che hanno il loro fondamento in una subcultura ancestrale e risalente nel tempo, che la globalizzazione del crimine non ha eliminato ma che, probabilmente, costituisce la forza di quella organizzazione ed il suo “valore aggiunto”».

Fpnte: Corriere della Calabria