L’addio (o arrivederci?) di Gratteri alla Procura di Reggio

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Il saluto del magistrato ai colleghi prima dell’insediamento a Catanzaro. De Raho: «Vive sotto scorta per garantire la libertà di tutti». Di Landro: «Un fuoriclasse». Gli aneddoti del giudice Tarzia e un pizzico di commozione per tutti

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REGGIO CALABRIA Da lunedì, gli uomini della scorta del nuovo procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri avranno da fare. E parecchio.

Dovranno imparare in fretta e in dettaglio la disposizione di stanze e corridoi del nuovo palazzo di Giustizia che il “loro” procuratore andrà ad “abitare” perché lui non si ferma mai aspettarli. Lui corre. E loro sono ben volentieri costretti a trottargli dietro. Oggi però Nicola Gratteri si è fermato e con lui tutto il Tribunale di Reggio Calabria, che si è presentato in massa nell’aula 13 della Corte d’assise per salutarlo. C’erano tutti. I sostituti della Procura, gli aggiunti, il procuratore capo, ma anche i giudici del collegiale e dell’ufficio gip, i cancellieri, gli uomini della polizia giudiziaria, i massimi vertici delle forze dell’ordine. Degli uomini e delle donne del palazzo di giustizia, pochissimi c’erano quando lui, giovane sostituto, è arrivato da Locri, i più li ha visti crescere e formarsi. Per ventitré anni Nicola Gratteri è stato con funzioni diverse alla procura di Reggio, ma dopo gli anni da aggiunto ha dovuto – probabilmente con dolore – scegliere di andare via per non rischiare di tornare a fare il sostituto, per di più tagliato fuori dagli incarichi Dda. «Sarebbe rimasto se avesse avuto la certezza di una mia partenza – svela il procuratore capo della Dda, Federico Cafiero de Raho – e se io fossi stato certo di essere pronto ad andare via. Ma così non è. Per questo non l’ho trattenuto». Dunque in una giornata «di gioia per il procuratore Gratteri che si appresta a ricoprire un incarico importante, ma di profonda tristezza per noi che lo perdiamo» – continua Cafiero de Raho, lo storico magistrato di Reggio, chiude ufficialmente il suo lungo percorso negli uffici giudiziari sulla riva calabrese dello Stretto, di cui è stato – specifica il procuratore capo della Dda – «un punto di riferimento». 
«Nicola ha sacrificato se stesso e la sua famiglia, rinunciando alla propria libertà e accettando di vivere sotto scorta per garantire libertà a tutti i cittadini della Calabria e del mondo». E questo perché «come Giovanni Falcone, ha fatto capire che la lotta alla ‘ndrangheta è globale». Per il procuratore generale Salvatore Di Landro, Gratteri è «un fuoriclasse e un punto di riferimento per la popolazione dell’intero distretto che a lui deve molto», ma soprattutto «un uomo schietto, pieno di spirito che incarna quello che un magistrato dovrebbe essere». Per questo, l’augurio «malinconico, perché Gratteri è un grande magistrato e amico» che gli rivolge Di Landro è che «Catanzaro, sede di grande importanza, non sia che una tappa di un percorso di prestigio, che lo porti ai massimi vertici nazionali». Commosso e imbarazzato, forse perché incapace di tracciare un confine fra il ricordo personale e quello professionale, è stato il saluto del presidente dell’Ufficio gip Olga Tarzia. Della provincia jonica del reggino come Gratteri, insieme a lui ha iniziato la sua carriera e ha giurato da magistrato il 30 aprile dell’86. Ma è solo dopo che l’amico e il collega la stuzzica che si lascia andare a un ricordo personale. «Un giorno, all’epoca in cui viaggiavamo insieme da Catanzaro, mi chiamò la mamma di Nicola, che era una persona molto saggia, per dirmi “suo marito deve essere un pazzo per farla viaggiare con mio figlio”». A quanto pare, al presidente Tarzia è toccato più di una volta spingere l’auto che il nuovo procuratore di Catanzaro tentava di far partire, mentre un’altra volta i due sono stati costretti a tornare a casa in autostop. Gratteri la guarda e ride. Poi tocca a lui prendere – suo malgrado – la parola. Non gli sono mai piaciuti i grandi discorsi. A lui le cose piace farle. Anche per questo arriva dritto al punto. Ringrazia per primo il personale, «che è quello che con me ha lavorato più a stretto contatto». E che a lui si è legato in maniera viscerale, tanto che la signora Rosa, sua storica collaboratrice, adesso che il “suo” procuratore sta per andare via, è pronta a fare le valigie, nonostante l’invito a restare di Cafiero de Raho. Gratteri lo sa, per questo la sua squadra è al primo posto nel suo saluto, un po’ malinconico e un po’ commosso. « Siamo entrati qui giovani e qui siamo invecchiati, abbiamo discusso, abbiamo imparato gli uni dagli altri, fin quando stavamo in quattro in una delle stanzette di piazza Castello, e avevamo una stanza delle intercettazioni piena di topi e scarafaggi. Ora che siamo qui ci lamentiamo del Cedir». Quello di cui non ci si può e non ci si deve lamentare, dice Gratteri, sono i sostituti, «li conosco tutti perché sono quello che è qui da più tempo, conosco pregi e difetti e posso dire che sono tutti persone perbene. Questa è la cosa più importante». Un pensiero il procuratore aggiunto uscente lo dedica anche alle forze dell’ordine, «qui abbiamo l’élite», ma anche a quelle indagini e a quel metodo d’indagine che la Procura ha forgiato, consapevole di dover affrontare con strumenti mondiali un problema globale. Tecniche e metodi che Gratteri lascia in eredità a chi avrà il gravoso compito di proseguire quei filoni investigativi che –intima – «non devono andare perduti. Io non ci sarò, ma se serve un numero, un contatto, una cosa, chiamatemi». Perché il suo saluto non è un addio, ma – e sono molti a sperarlo – solo un arrivederci.

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it