OMICIDIO CONGIUSTA- IL PM: Condannate i suoceri e la fidanzata di Gianluca

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Locri(RC) Mentirono in aula. E’questa la convinzione del pubblico ministero, che ha chiesto al giudice monocratico di Locri, Maria Teresa Gerace,la condanna a 4 anni per Girolama Raso, 3 anni e mezzo per Antonio Scarfò e 3 anni e due mesi per la figlia Katia.

I tre, rispettivamente ex suoceri ed ex fidanzata di Gianluca Congiusta, secondo l’accusa avrebbero assunto un atteggiamento assolutamente inconciliabile con la gravità di quanto avvenuto, ovvero la morte del giovane imprenditore sidernese, ucciso il 24 maggio del 2005.

Stando all’ipotesi della procura, il boss Tommaso Costa avrebbe deciso di far fuori Gianluca perchè era venuto a conoscenza di una lettera estorsiva fatta recapitare al suocero proprio da Costa, che a breve sarebbe uscito dal carcere, e quindi avrebbe dovuto “riacquistare” credibilità mafiosa a Siderno, senza però che i rivali della cosca Commisso venissero a conoscenza dei suoi progetti criminali.

I fatti risalgono ale testimonianze dei tre davanti alla Corte d’Assise di Locri nel processo di primo grado per la morte del giovane, processo che si concluse con l’ergastolo per Costa, attualmente sotto processo dinnanzi alla nuova sezione della Corte  d’ Assise d’Appello reggina dopo l’annullamento con rinvio disposto dalla Cassazione.

Per gli inquirenti, Antonio Scarfò, che era venuto direttamente a conoscenza della richiesta estorsiva con la quale il boss pretendeva l’assunzione nell’impresa di famiglia di Pietro Costa, informò sia la moglie sia Congiusta di quella lettera.

In aula però i coniugi sostennero che ad informare il genero fosse stata soltanto la Raso. Dichiarazioni che non convinsero nè l’accusa nè i giudici, che infatti trasmisero gli atti per falsa testimonianza alla Procura di Locri con il conseguente rinvio a giudizio. Secondo il gup, infatti, Scarfò avrebbe mentito quando in aula disse che l’assunzione di Pietro Costa era regolare e che non collegò l’omicidio del genero ai danneggiamenti ed alle intimidazioni subite precedentemente.

La raso, scriveva ancora il gup, avrebbe mentito invece riferendo di non aver parlato col marito prima dell’omicidio del giovane e quando non seppe fornire spiegazioni di quel messaggio con il quale la donna “ricordava” al marito di dichiarare ai poliziotti che lui della lettera non sapeva nulla.

Per la Procura, la Raso stava cercando di proteggere il marito da un’eventuale ritorsione dei costa. Ma nessuno difese Gianluca. (si.mu.)

Fonte: il garantista