Mafia, perché Angelo Provenzano non parla con le famiglie delle vittime oltre che con i turisti?

Print Friendly, PDF & Email

provenzanoJr-300x122

di Antonio Leggieri |

Negli ultimi anni le guide turistiche in Italia sono diventate una categoria a serio rischio di crisi di nervi.

Prima la nascita dei “consulenti di viaggio”, persone che abbandonano il proprio lavoro per reinventarsi guide dopo aver seguito corsi di formazione a pagamento. Poi lo zampino dell’Europa, che ha dato indicazione agli Stati membri di liberalizzare la professione, permettendo ad accompagnatori stranieri di esercitare questo lavoro anche in Italia pur non avendo essi sostenuto gli esami d’abilitazione cui sono sottoposte le nostre guide. Senza dimenticare gli abusivi che davanti al Colosseo chiedono soldi ai turisti per spiegare loro la storia di Roma imparata a memoria su Wikipedia.

L’ultima chicca arriva dalla Sicilia dove Angelo Provenzano, il figlio del boss di Cosa Nostra Bernardo, ha cominciato a lavorare come guida turistica. I clienti sono comitive di americani agiati e di mezza età, che partono periodicamente per la Sicilia grazie al tour operator di Boston Overseas Adventure Travel. Il loro viaggio dura due settimane e costa dai 3 ai 4 mila dollari, poca roba per il target con cui lavora questo tour operator che sul proprio sito internet ricorda, a ragione, come non ci sia periodo migliore per partire, ora che l’euro è ai minimi sul dollaro.

Il pacchetto proposto dalla società americana prende il via da Palermo e prosegue nei giorni successivi nelle più belle città siciliane come Mazara del Vallo, Agrigento, Siracusa e Catania. La due giorni palermitana è l’appuntamento più atteso dai turisti, non solo per il tour nei monumenti storici ma anche e soprattutto per “la – traduco dal sito web della Overseas Adventure Travel – “illuminante discussione sulla mafia siciliana (conosciuta anche come Cosa Nostra) con uno dei figli di un ex boss”. In pratica, Angelo Provenzano spiega ai turisti la sua storia e quella del padre.

Dal punto di vista del tour operator la scelta di chiedere al figlio di un boss di trasmettere ai turisti esperienze vissute in prima persona, è un’idea un po’ cinica ma al tempo stesso comprensibile. Chi lavora in questo settore sa bene che chi apre il borsellino per un viaggio organizzato e spende, come in questo caso, anche un bel po’ di soldi, vuole vivere un’esperienza da ricordare. Non solo: vuole anche vedere cose e sentire storie che valgano il prezzo del giro di giostra. Per un turista americano benestante che magari è pure cresciuto vedendo il Padrino, avere la possibilità di parlare con il figlio di un boss della mafia è un valore aggiunto notevole. Sarebbe ipocrita pensare che le stesse cose dette da un’altra persona possano avere identico valore.

E poco importa poi, dal punto di vista del cliente, che l’Italia rappresentata da questo tour operator sia un compendio di stereotipi, come tra l’altro dimostra anche il video che spiega l’itinerario del viaggio. Chi parte da oltre oceano questi stereotipi li cerca, li vuole fotografare e condividere. Chi organizza, invece, ha due obiettivi: soddisfare il cliente e guadagnarci qualcosa, ed entrambi sono stati raggiunti visto che nessuno fino ad adesso si è lamentato e che i tour dei primi tre mesi dell’anno sono andati sold out.

La prospettiva cambia però quando i diretti interessati si sentono chiamati in causa. In questo caso non stiamo parlando solo delle famiglie delle vittime di mafia, che potrebbero trovare la nuova veste ciceroniana del figlio di Provenzano un po’ troppo appariscente, ma anche del resto dei siciliani e degli italiani, che pur non avendo vissuto in prima persona le vicende legate a Cosa Nostra hanno per forza di cose un punto di vista differente rispetto a quello di un turista straniero. Un punto di vista sicuramente più critico ma anch’esso perfettamente comprensibile e condivisibile.

Alla fine della giostra quella che risulta meno comprensibile è la scelta del 39enne figlio di Provenzano. Un tour operator gli ha dato la possibilità di parlare di se stesso e del padre a gruppi di turisti americani e lui ha detto sì, forse perché spiegare queste storie a persone che non hanno pregiudizi di sorta è un modo più facile con cui provare ad alleggerire il peso portato a causa del suo cognome. Se però Provenzano junior, che si è lamentato di non riuscire a condurre una vita normale, pensa di stanare i suoi fantasmi e riscattarsi parlando di sé e delle gesta del padre a un gruppo di yankees di passaggio deve mettere in conto che probabilmente si tratta solo di una medicina dagli effetti passeggeri. Molto più difficile, ma anche più benefico per tutti, sarebbe spiegare le stesse cose a chi quelle storie le ha vissute in prima persona o ne ha sentito parlare da meno chilometri di distanza.

“Se questo ragazzo vuole davvero cambiare vita”, ha detto ai microfoni di RaiNews Vincenzo Agostino, a cui la mafia ha ucciso il figlio, “deve prima rinnegare suo padre”.