Un detenuto gravemente ammalato e una lettera aperta al nuovo guardasigilli, Paola Severino
In carcere capita spesso che si possa osservare meglio gli altri di se stessi. E, scrivendo, si può essere la voce di chi non ha neppure più la forza di avere voce.
Questa è una storia vera che nessuno scriverà mai su un giornale e mai nessuno racconterà in televisione. Questa è una storia vera che rimarrà prigioniera nelle celle, nei cortili e nelle sezioni dell’Assassino dei Sogni (il carcere, come lo chiamo io). Io proverò a far evadere questa storia dalle sbarre della mia cella per farla conoscere al di là del muro di cinta, al mondo dei “buoni”.
Questa è la storia di S.L., detenuto nel carcere di Spoleto in alta sicurezza, 80 anni compiuti l’estate scorsa, vecchio, malato e stanco. E destinato con certezza a morire in carcere perché è stato condannato alla pena dell’ergastolo ostativo a qualsiasi beneficio, a meno che al suo posto non metta un altro. L’ultima volta che l’ho visto è stato questa estate e si muoveva a malapena nel cortile del carcere, con due stampelle sotto le ascelle. Stava sotto il sole seduto in una panchina di cemento armato tutto l’orario del passeggio a prendersi l’ultimo sole della sua vita. Poi un giorno non l’ho più visto.
In seguito ho saputo che gli avevano trovato un tumore maligno allo stomaco e l’avevano trasferito d’urgenza in un centro clinico carcerario. Proprio l’altro giorno ho saputo che era ritornato, l’avevano operato, ma che adesso non riesce più a camminare, per cui gli hanno dato una sedia a rotelle. Oggi, da un suo paesano, ho saputo che per S.L. le disgrazie non sono finite perché gli hanno applicato un residuo d’isolamento diurno. A che serve e a chi serve applicare a un povero vecchio in fin di vita una misura così sadica e vessatoria?
Molti forse non sanno che l’isolamento diurno è una pena che si dà normalmente quando si è condannati alla pena dell’ergastolo e che ti costringe a non fare vita comune con i tuoi compagni. Che altro aggiungere, se non che il carcere non dovrebbe essere uno strumento di tortura, mortificazione, un luogo di violenza istituzionale e una fabbrica di emarginazione. E, se siete dei credenti, aggiungo solamente che Gesù nelle sue predicazioni non chiedeva giustizia ma perdono. Visti però i risultati, credo che Gesù abbia perso solo tempo a venire su questa terra.
Sembra che Paola Severino, nuovo ministro della Giustizia (per la prima volta una donna) abbia affermato che un intervento per l’emergenza carceri sarà una delle prime cose da fare. Speriamo bene. Ho pensato di scriverle questa lettera aperta per farle sapere che nelle carceri italiane, dall’inizio dell’anno fino al 28 ottobre 2011, hanno perso la vita 155 detenuti. Cinquantaquattro si sono suicidati, dei rimanenti 101 (età media 35 anni), circa la metà è deceduta per malori improvvisi legati a disfunzioni cardiache, respiratorie, eccetera, mentre su 23 casi sono in corso inchieste giudiziarie miranti ad accertare le cause dei decessi.
Signor ministro, tengo a farle sapere che dal 2000 al 2011 ci sono stati nelle carceri italiane 1.902 morti, di cui 680 suicidi (fonte Ristretti Orizzonti). Una vera guerra, ma forse sarebbe bene chiamarla una vera carneficina, perché a morire in carcere sono soprattutto barboni, tossicodipendenti, extracomunitari e poveracci, dato che in questi luoghi non ci va solo chi commette dei reati, ma ci vanno soprattutto le anime perse della società. Ed è incredibile che dove si dovrebbe fare giustizia regni l’ingiustizia e si muoia più che da qualsiasi altra parte d’Italia. Eppure in questa lista di morti non ci sono detenuti imputati di corruzione, approvazione indebita, associazione mafiosa esterna, ecc., probabilmente perché questi tipi di imputati in carcere non ci vanno, ma si sa che il diritto e i diritti funzionano solo per i ricchi.
Signor guardasigilli, le campagne forcaiole e le colossali bugie per ottenere consenso politico hanno fatto diventare le carceri italiani luoghi di tortura, di disperazione e dolore. Come lei saprà, perché è anche avvocato, negli altri Paesi le pene detentive non hanno una durata così elevata come in Italia. La certezza della pena potrebbe significare anche far scontare la pena fuori dal carcere, poiché la società non è più tutelata mettendo fuori le persone solo a fine pena, visto che, così facendo, questi escono più cattivi, constatando sulla propria pelle che gli altri non sono migliori di loro.
Signor ministro, il carcere in Italia è molto pericoloso. Produce morte, crimine istituzionale ed è asociale. La galera nel nostro paese non corregge il detenuto, ma piuttosto gli insegna a commettere altri crimini e a odiare i “buoni”, se questi sono peggio di lui. Per ultimo, tengo a farle sapere che in Italia, unico paese in Europa, esiste l’ergastolo ostativo, la “Pena di Morte Viva”, come la chiamiamo noi ergastolani, che è una condanna a morte che si sconta da vivo invece che da morto, perché non potremo mai usufruire di nessun beneficio penitenziario se nella nostra cella non mettiamo un altro al posto nostro. Signor ministro, le auguro buon lavoro con la speranza che l’amore sociale dimori nel suo cuore.
Le immagini: tavola XII (Il cavalletto) da Le carceri d’invenzione (1745-1750) e La via Appia, da Antichità Romane de’ tempo della prima Repubblica e dei primi imperatori (1756), entrambe incisioni di Giambattista Piranesi (Mogliano Veneto, 1720 – Roma, 1778). E la copertina di Cattivi guagliuni, dei 99 Posse.
Carmelo Musumeci – Carcere di Spoleto, novembre 2011
Le immagini: tavola XII (Il cavalletto) da Le carceri d’invenzione (1745-1750) e La via Appia, da Antichità Romane de’ tempo della prima Repubblica e dei primi imperatori (1756), entrambe incisioni di Giambattista Piranesi (Mogliano Veneto, 1720 – Roma, 1778).
(LucidaMente, anno VI, n. 72, dicembre 2011
1 Comment
Sarà vero che che Gesù nelle sue predicazioni non chiedeva giustizia ma perdono ma era Gesù.
Io invece ho chiesto e voglio Giustizia per l’assassino di mio figlio e lo Stato a cui lei si appella mi deve garantire la certezza dell’espiazione della pena.
Lei parla di suicidi e non dice che 66 erano appartenenti alla polizia penitenziaria, lei ci dice di quanto sia duro il carcere in Italia ma non parla mai dei suoi reati e delle sue vittime o di quelle dei suoi colleghi. Lei parla di benefici penitenziari e non ci dice quali “benefici” ha concesso alla/e sue vittime.
Ma lei lo sà quanti sono i suicidi ed i tentati suicidi tra i familiari delle vittime?
Qui non ci sono dati e fonti da citare ma io lo sò.
E perchè mai dovrebbero darle dei benefici?
Presumo che se lei è un ergastolano od un carcerato per altri motivi, nel commettere il reato sapeva a cosa andava incontro o sperava di farla franca?
Perchè non ci dice che un ergastolo equivale a 14 anni e non a “fine pena mai?
Ecco,un ergastolano viene condannato a “fine pena mai” e così dovrebbe essere e se così fosse, morire in carcere sarebbe naturale.
Anche fuori si muore e senza aver commesso reati. Parlo delle vittime innocenti che non otterranno mai benefici che lei pretende.Ed i familiari delle vittime non sono forse morti viventi?
Lei vuole diventare un ex detenuto ma non ha pensato che una vittima non diventerà mai ex vittima.
Rimanga dove si trova signor Lei,sconti la sua condanna e non dica mai “ho pagato il mio debito con la giustizia”. Solo Dio le può firmare la quietanza.
Mario Congiusta (papà di Gianluca barbaramente ucciso dalla ‘ndrangheta)